La mostra personale del poliedrico artista Lanfranco Brisighelli, nato a Udine nel 1958, è allestita al secondo piano della sede consiliare.
“C’è qualcosa che tutti ci riguarda nelle opere di Franco e ogni volta che le incrocio mi chiedo che cosa sia. E mi trovo sempre davanti due possibili, entrambe virtuose, strade: il riutilizzo di ciò che è scarto e l’arcaicità del risultato ottenuto. Il primo pensiero, lo ricordo bene, fu di pancia e mi portò alla Medea di Pasolini. Li vedevo lì i suoi gioielli, intorno al collo, intorno alla vita, alle caviglie, lungo le braccia e sulle dita di Maria Callas e non mi sorprese, più tardi, scoprire che, insieme alle formidabili “sedute”, avevano reso ancora più intensa un’altra Medea, interpretata in teatro da Giuliana Musso. Ciò che è arcaico ci riguarda tutti. Impossibile restarne indifferenti. Il filtro polveroso della ragione, di quanto conosciamo, di quanto ci piace e non ci piace viene saltato con un balzo e l’immagine precipita dritta giù, dentro, verso zone sulle quali non abbiamo pieno dominio, zone più interne e meno esplorate.
Nella mia disordinata esperienza ho potuto verificare un fatto: perché ciò avvenga, l’artista deve fidarsi della propria incoscienza. Sapere, cioè, che potrà controllare l’opera solo fino a un certo punto, facendo tesoro delle tecniche apprese. Oltre quel punto c’è il caso, l’incidente, che va lasciato operare, magari tenendolo d’occhio. Lasciare che faccia un po’ lui. E, ancora, c’è l’incontro fortuito, in questo caso con l’oggetto che scatena tutto ciò che sarà. Per Franco questi oggetti sono lo scarto dello scarto, i sottopària della materia solida: cocci di cocci di vetro, legni feriti e buttati, cinghie esauste, materiali che la farebbero finita da sé se solo ne avessero la possibilità. Vederli, sentire che diventeranno re e regine, è già vivere in una dimensione non ordinaria. È una questione di attenzione verso il mondo. La fantasia non c’entra nulla, anzi, è un ostacolo. Franco li vede e li sente quei relitti.
Poi li mette da parte. Sa che prima o poi scatterà una seconda scintilla, un testa a testa che svelerà di quale bellezza quegli scarti fossero intrisi.
Nell’equilibrio tra i fenomeni sopra descritti, può capitare che nascano opere che, appunto, ci colpiscono tutti senza possibilità di fuga. Al di là della preparazione, della cultura, della geografia di chi guarda. I gioielli qui esposti potrebbero appartenere alle steppe del Nefur, del deserto di Thar o alla Patagonia. Ed essere di qualsiasi epoca: del Neolitico come di un tempo che verrà. L’arcaico è ciò che è stato e anche ciò che sarà, è sempre attuale. Ed è pieno di silenzio.”
Moreno Miorelli
Catalogo in mostra.